La tappa milanese della mostra I Marmi Torlonia. Collezionare capolavori, alle Gallerie d’Italia fino al prossimo 18 settembre, ci dà l’opportunità di ripercorrere la storia della Collezione Torlonia e quella del progetto per la sua valorizzazione, e di ritornare all’edizione inaugurale della mostra che si è tenuta ai Musei Capitolini dal 14 ottobre 2020 al 27 febbraio 2022, della quale Pop’s The Matter non aveva avuto allora occasione di scrivere.
La Collezione Torlonia è stata definita come la più importante raccolta privata d’arte antica al mondo ed è l’ultima tra le grandi collezioni principesche romane a prendere forma. Se la Collezione Boncompagni Ludovisi – la più celebre tra quelle esposte al Museo Nazionale Romano – compie oggi 400 anni, la formazione della Collezione Torlonia va fatta risalire a tempi più recenti, essenzialmente al XIX secolo.
Aver costruito in pieno Ottocento una raccolta nel solco delle più grandi esperienze del mecenatismo e del collezionismo romano è probabilmente una delle ragioni che rende l’impresa solitaria del principe Alessandro Torlonia così unica e particolare; sia perché si inserisce in un percorso in qualche modo già tracciato, sia perché può beneficiare della possibilità di acquisire collezioni più piccole già formate, e forse anche perché arrivare ultimo, in ordine di tempo, può essere stata una spinta ulteriore a superare, in quantità e magnificenza, ogni predecessore.
Il primo nucleo della Collezione Torlonia risale all’inizio del 1800, quando grazie a un’asta pubblica confluiscono nel patrimonio della famiglia, salvati dalla dispersione, tutti i tesori raccolti da Bartolomeo Cavaceppi, il più illustre restauratore di marmi antichi del Settecento.
Nel corso di meno di un secolo il numero delle opere aumenta grazie a nuove campagne di scavi e altre acquisizioni, secondo un progetto culturale lungimirante e ambizioso che vede il proprio compimento nel 1875, anno di fondazione del Museo Torlonia in Via della Lungara.
A volere il Museo Torlonia in via della Lungara e a costituirlo facendovi confluire arredi dai palazzi di famiglia e nuove acquisizioni dal mercato e dagli scavi, fu in solitario progetto il principe Alessandro Torlonia (1800-1886).
Salvatore Settis, Curatore
I suoi predecessori immediati, in particolare il padre Giovanni, avevano allineato numerose sculture antiche nelle loro vaste residenze, secondo un sontuoso gusto decorativo che proseguiva secolari abitudini di autorappresentazione dell’aristocrazia romana.
Alessandro impresse al collezionismo Torlonia una svolta decisiva con la creazione del Museo Torlonia, che nel nome stesso di “museo” denunciava l’intenzione di porre in una pubblica vetrina i frutti di un privato accumulo di antichità.
Luogo sacro alle Muse, il museo offre a piccoli gruppi di visitatori la possibilità di ammirare 517 capolavori in grado di rivaleggiare con le più importanti collezioni dell’epoca, prime fra tutte quelle dei Musei Capitolini e dei Musei Vaticani.
Le opere vengono catalogate per la prima volta nel 1876 da Pietro Ercole Visconti, che le definisce un enorme tesoro di erudizione e arte.
La collezione continua poi a ampliarsi, arrivando alle 620 sculture raccolte nel volume I Monumenti del Museo Torlonia riprodotti con la fototipia del 1884/85, uno dei primi esempi di catalogo fotografico di una collezione di arte antica. Curato da Carlo Ludovico Visconti, il volume fu donato dal principe Alessandro Torlonia alle maggiori istituzioni culturali europee.
La storia della Collezione Torlonia è quindi legata al progetto del Museo e all’intenzione dichiarata di esporre le opere in un luogo dedicato; ma il principe Torlonia aveva anche acquistato dalla Famiglia Albani l’incredibile Villa nei pressi di Porta Salaria, pensata e costruita secondo il modello dei padiglioni di delizie dei grandi principi romani, a partire dal casino fuori Porta Pinciana di Scipione Borghese, e i tesori che ancora oggi contiene, che solo in parte sono stati trasferiti alla Lungara.
Questo rende il patrimonio di cui si occupa la Fondazione Torlonia ai nostri giorni ancora più straordinario, perché composto sostanzialmente di due diverse collezioni: quella del Museo, immaginata per essere condivisa, e quella della Villa, più intima e privata.
L’eccezionale interesse artistico e storico della Collezione Torlonia e dello stesso edificio che la ospita appaiono subito chiari sia agli studiosi che agli enti preposti alla tutela dei beni culturali, tanto che nel secondo dopoguerra entrambi vengono sottoposti a vincoli di tutela.
Nonostante questo la storia del Museo Torlonia subisce presto una dolorosa interruzione. Già dalla fine dell’Ottocento il museo diviene sempre più difficile da visitare e gli eventi della seconda guerra mondiale lo portano di fatto alla chiusura. La scomparsa del museo dal panorama dell’offerta culturale romana lo consegna all’oblio, almeno per quel che riguarda il grande pubblico.
La più rappresentativa collezione privata di arte antica nella città che più ne è ricca, Roma, è stata dunque a lungo anche la più nascosta: l’aspro contrasto fra la sua importanza e il suo segreto spiega la leggenda che intorno ad essa si è venuta formando, e le aspettative che in tutto il mondo circondano questo suo uscire dall’ombra.
Salvatore Settis, Curatore
A rendere il tutto ancora più amaro c’è poi quell’evento traumatico che vede trasferire tutta la Collezione negli spazi angusti dei sotterranei del palazzo della Lungara. Da quel momento si apre un lungo contenzioso tra lo Stato Italiano e la famiglia Torlonia, una vicenda complessa che viene ricomposta solo nel 2016 con l’accordo stipulato tra l’allora Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo e i rappresentanti della Fondazione Torlonia, punto di partenza di una reciproca collaborazione della quale la mostra I Marmi Torlonia. Collezionare Capolavori è la prima espressione concreta.
Di queste vicende travagliate non c’è traccia nei materiali della mostra e nei testi del catalogo che l’accompagna: una scelta comprensibile da parte dei curatori, ma non condivisibile, sia perché non bisognerebbe perdere memoria con tanta facilità di fatti così gravi che riguardano i nostri beni comuni, sia perché il ruolo che ha deciso di ritagliare per sé il Ministero in questa operazione si presta a più di una critica.
A ricostruire tutta la vicenda senza alcuna timidezza, e molto meglio di come si potrebbe fare su queste pagine, ha pensato, tra gli altri, Finestre sull’Arte con un ottimo articolo del febbraio 2021.
I Marmi Torlonia. Collezionare Capolavori nasce quindi dalla decisione di rilanciare la conoscenza e l’importanza della Collezione Torlonia nel contesto internazionale attraverso una mostra-evento di grande richiamo.
A questo scopo si decide di selezionare tra le 60 e le 90 sculture, il più possibile rappresentative dell’ampiezza e delle caratteristiche della Collezione (il numero finale arriverà a 96), del cui restauro si occupa, anche ricorrendo al contributo di sponsor, la Fondazione Torlonia nei propri Laboratori alla Lungara.
Il Ministero lavora invece all’organizzazione della mostra, per il tramite della Soprintendenza Speciale Archeologica di Roma.
Come sede espositiva vengono individuati i nuovi spazi dei Musei Capitolini negli ambienti dell’ex Museo Nuovo, al piano terra di Villa Caffarelli, proprio accanto all’esedra del Marco Aurelio, sui quali era in corso un importante intervento di restauro.
L’intenzione è poi quella di portare la mostra in tour in almeno due sedi internazionali, e di lavorare nel frattempo all’individuazione di un sito che possa ospitare in modo permanente l’intera Collezione. In questo modo, al rientro delle opere in Italia, si arriverebbe alla riapertura del Museo Torlonia in una nuova sede definitiva.
Se avrete avuto modo di parlarne con gli addetti ai lavori, vi sarà stato probabilmente fatto il nome di Palazzo Silvestri-Rivaldi come luogo designato, ma a oggi alla notizia manca l’ufficialità – ma non un cospicuo stanziamento di fondi per i lavori da parte del Ministero – mentre si susseguono voci su possibili difficoltà nell’adattare quell’edificio alle esigenze della Collezione e del Museo.
Nell’ottobre 2020, dopo qualche rinvio e subito dopo il primo lockdown, I Marmi Torlonia. Collezionare Capolavori apre finalmente al pubblico nei nuovi spazi dei Musei Capitolini a Villa Caffarelli.
La mostra sarà una delle prime a doversi confrontare con la nuova realtà del distanziamento sociale, e una di quelle a farlo con un progetto pensato prima della pandemia. Anche i suoi spazi, concepiti senza poter immaginare le nuove esigenze legate al contingentamento dei visitatori, mostreranno alcuni limiti strutturali.
Successive restrizioni ne interromperanno la programmazione; la mostra riaprirà al pubblico definitivamente nell’aprile 2021, e verrà poi prorogata più volte.
Anche il programma dell’esposizione itinerante internazionale subisce dei cambiamenti, con l’uscita di scena delle due tappe – comunicate in modo ufficioso ma mai annunciate – al Musée du Louvre di Parigi e al Paul Getty Museum di Los Angeles, e più di recente con la scelta delle Gallerie d’Italia di Milano come destinazione della tappa successiva.
A Milano i Marmi Torlonia approdano il 25 maggio di quest’anno, e la mostra è programmata per concludersi il 18 settembre prossimo. Con una scelta bizzarra di comunicazione, viene presentata come quella che ha il merito e l’onore di essere il preludio ad un tour internazionale, lasciando agli addetti ai lavori la strana sensazione che della mostra che è restata negli spazi dei Musei Capitolini per oltre un anno si preferisca parlare il meno possibile, quasi a non infastidire il nuovo padrone di casa, le Gallerie d’Italia di Intesa Sanpaolo.
A curare I Marmi Torlonia. Collezionare Capolavori, per entrambe le tappe italiane, sono Salvatore Settis e Carlo Gasparri. A Roma l’allestimento è stato ideato da David Chipperfield Architects Milano, con il progetto illuminotecnico di Mario Nanni con Viabizzuno.
Il percorso espositivo è immaginato come un viaggio a ritroso nel tempo che ripercorre le vicende delle diverse raccolte che sono confluite nella Collezione Torlonia. Si individuano cinque momenti significativi a cui corrispondono altrettante sezioni: alla Sala 1, l’ambiente introduttivo della mostra, è affidato il compito dell’Evocazione del Museo Torlonia; la Sala 2 accoglie Sculture da scavi Torlonia del secolo XIX; la terza sezione, distribuita nelle Sale 3, 4 e 5 presenta Sculture da raccolte del secolo XVIII, dalla Villa Albani allo Studio Cavaceppi.
Le Sale dalla 6 alla 9 compongono la quarta sezione e ci riportano al secolo XVII con le Sculture dalla raccolta Giustiniani mentre la sezione conclusiva, con le Sale dalla 10 alla 13 ospita Sculture da raccolte dei secoli XV e XVI. La Sala 14 è concepita come un Epilogo e espone, tra l’altro, il volume dell’imponente catalogo del Museo Torlonia.
La visita si conclude nello spazio dell’Esedra del Marco Aurelio, dove per l’occasione sono stati ricollocati la Lupa, il Camillo e lo Spinario, che si ricongiungono così ai resti della statua di Costantino, ricomponendo l’insieme dei bronzi antichi donati nel 1471 da Papa Sisto IV al Popolo Romano, un atto che è considerato la fondazione dei Musei Capitolini e dell’idea stessa di museo moderno.
A Milano l’esposizione ripropone la medesima suddivisione in sezioni, e naturalmente, le stesse opere, alle quali se ne sono aggiunte cinque sulle quali la Fondazione ha recentemente completato gli interventi di restauro, a costituire l’elemento di novità di questa seconda tappa.
Inutile dire che la preziosa conclusione del percorso della mostra nell’Esedra dei Musei Capitolini non potrà che restare una caratteristica della sua versione romana.
A Roma il progetto di allestimento e quello illuminotecnico sono due dei punti di forza della mostra. Negli ambienti radicalmente differenti delle Gallerie d’Italia – che si sono affidate al contributo di progettisti differenti – l’effetto non sarà altrettanto efficace.
Gli spazi a Villa Caffarelli infatti sono minuti, quasi compressi, e comportano una densità di opere che porta ad apprezzarle come corpus, oltre che singolarmente.
Il visitatore non si trova faccia a faccia con una semplice successione di sculture, ma sperimenta la sensazione di trovarsi davanti a una raccolta, quasi come se la stesse sbirciando nelle sale affollate dei laboratori di restauro.
Nella sede novecentesca di Palazzo Beltrami a Milano gli spazi sono dilatati, e più di qualcuno ha osservato che in questo modo la collezione respira; ma l’impressione è che questo finisca almeno in parte col banalizzare l’esposizione, diluendo quella tensione che era caratteristica dell’allestimento romano, anche perché alla maggiore superficie espositiva non si accompagna un corrispondente incremento del numero delle opere, che in alcune situazioni finiscono per apparire un po’ sparpagliate nei ben più vasti spazi delle Gallerie d’Italia.
Il Salone del Pubblico della Banca Commerciale Italiana, ad esempio, è uno spazio ricco e affascinante, ma il rapporto di scala con le opere della Collezione Torlonia appare meno felice rispetto a Villa Caffarelli, e il contenitore, che a Roma era decisamente più neutro, finisce a volte per entrare in competizione col contenuto.
Con una vena di malcelata ironia, si potrebbe dire che la mostra dei Marmi Torlonia è stata molto romana ai Capitolini quanto molto milanese è quella in Piazza della Scala.
L’allestimento di David Chipperfield Architects per gli spazi di Villa Caffarelli si ispira direttamente alle immagini del catalogo del Museo Torlonia del 1884/85, nel quale le sculture sono fotografate su uno sfondo nero che ha la funzione di astrarre l’opera dal contesto dello spazio espositivo.
Le opere sono quindi allestite su uno sfondo omogeneo più scuro che le fa emergere sia singolarmente che collettivamente. Lo sfondo assume diversi colori, permettendo al visitatore di individuare facilmente le cinque sezioni del percorso espositivo, anche quando queste sono distribuite in più sale.
Un’altra caratteristica peculiare dell’allestimento romano è quella di essere intervenuto sugli spazi di Villa Caffarelli prima della conclusione definitiva dell’intervento di restauro.
Gli ambienti si trovano immediatamente al di sopra della fondazione del Tempio di Giove, e si è voluto che i ritrovamenti archeologici fossero una componente fondamentale della spazialità degli spazi rinnovati, una volta completati. Ampi tratti di muratura saranno resi visibili attraverso tagli e affacci sulla quota sottostante, ma il rapporto tra la quota di calpestio moderna e quella archeologica sarà ripristinato solo dopo la conclusione della mostra, quando saranno realizzate diverse passerelle e balaustre in vetro e si procederà all’illuminazione delle strutture di fondazione.
L’intervento di David Chipperfield Architects si trova perciò in una condizione privilegiata, potendo intervenire sullo spazio prima che a questo sia data la propria configurazione definitiva.
Questa scelta ha lasciato al progettista grande libertà su un elemento che raramente è possibile controllare quando si espone in un edificio storico: la pavimentazione delle sale, che è stato possibile progettare ad hoc e ad interim proprio per la mostra.
La scelta, straordinariamente felice, è stata quella di immaginare un unico dispositivo che svolga allo stesso tempo la funzione di superficie calpestabile e quella di supporto delle opere d’arte.
Il materiale scelto è il laterizio, nella forma di mattoni realizzati a mano a partire da un’argilla grigio scuro, un riferimento diretto alle antiche architetture romane e alle stesse fondazioni in cappellaccio dell’Aedes Iovis Optimi Maximi Capitolini ma che conserva, anche per il colore inusuale, il grado di astrazione necessario a evitare la tentazione della mimesi.
Il pavimento scorre continuo, come una colata lavica, attraverso i differenti ambienti. Dove è necessario che un’opera sia sollevata da terra per essere meglio visibile, il piano di calpestio viene estruso in verticale, modularmente, secondo lo spessore di costa del mattone, diventando ora una bassa piattaforma, ora un plinto di dimensioni più significative, ora una sequenza scalettata di piani.
Come un organismo tettonico, muta la sua conformazione seguendo le necessità del programma espositivo e diviene quello che occorre, di volta in volta, sempre restando sé stesso.
I plinti, formati da mattoni, sono a tutti gli effetti strutture architettoniche con la doppia funzione di basamento e fondazione ma non sono piedistalli, ovvero strutture decorative di varia forma e materiale con l’intento di rappresentare e completare in rilievo e plasticamente la scultura.
David Chipperfield Architects
L’altro punto di forza della mostra romana è il progetto illuminotecnico, concepito da Mario Nanni secondo l’insegnamento leonardesco del lume primario e del lume secondario, l’armonica dialettica tra luce diretta e riflessa.
Utilizzando il sistema n55 di Viabizzuno, ogni opera è illuminata da una luce diretta – lume primario – e da una riflessa – lume secondario – calibrate per enfatizzare la leggibilità dei dettagli tridimensionali più nascosti. La scultura – a volte forse resa troppo candida dal restauro – vive così soprattutto della sua ombra.
Le sculture che sono state collocate nelle varie sale di Villa Caffarelli vivono nei colori delle pareti, che scandiscono le epoche e i contesti originari in cui le opere stesse sono state concepite e realizzate. l’illuminazione trasforma le pareti in fondali capaci di guidare il visitatore nel percorso temporale e di dare profondità allo spazio architettonico. in tutte le sale i marmi sono quindi accarezzati da una luce morbida, non drammatica che enfatizza la sensualità dei corpi e l’espressione dei volti, attraverso un suggestivo gioco di assorbimento e riflessione. La materia d’improvviso si veste di luce e dal nulla nasce un’emozione.
Mario Nanni, Progettista
- I Marmi Torlonia. Collezionare Capolavori
A cura di Salvatore Settis e Carlo Gasparri.
Dal 14.10.2020 al 27.02.2022 ai Musei Capitolini – Villa Caffarelli
Via di Villa Caffarelli, 00186 Roma
Tutti i giorni dalle 9.30 alle 19.30.
Dal 22.05 al 18.09.2022 alle Gallerie d’Italia
Piazza della Scala 6, 20121 Milano
Da martedi a domenica dalle 9.30 alle 19.30, il giovedì fino alle 22:30.
Foto dell’allestimento a Villa Caffarelli: Paolo Olivi @PaoloFM. Per gentile concessione della Fondazione Torlonia.