Le grandi mostre tornano nelle sale della Galleria Borghese a quattro mesi dalla partenza dell’Unbelievable di Cif Amotan II e del suo carico di tesori. Aperta al pubblico fino al 22 maggio 2022, Guido Reni a Roma. Il Sacro e la Natura è il primo di una serie di eventi internazionali dedicati al maestro bolognese e raccoglie idealmente il testimone dal mondo visionario di Damien Hirst e della sua Archaeology Now.

Punto di partenza è il ritorno della Danza campestre, un’opera dipinta da Reni intorno al 1605 e appartenuta al cardinale Scipione Borghese; venduta nell’Ottocento, ha successivamente fatto perdere le proprie tracce fino a venir considerata dispersa.
Nel 2008 ricompare sul mercato antiquario londinese, attribuita a un anonimo bolognese; dopo opportune verifiche – il quadro era citato e descritto negli inventari sin dall’inizio del XVII secolo – è stata riacquistata dalla Galleria nel 2020.

Nel corso degli ultimi anni le mostre ospitate dalla Galleria Borghese hanno visto alternarsi artisti moderni o contemporanei – Pablo Picasso, Lucio Fontana, Damien Hirst – e altri che con i Borghese hanno intrecciato strettamente la propria vita professionale, come Gian Lorenzo Bernini e Luigi Valadier. Come questi ultimi, Guido Reni a Roma è di casa: si tratta di un doppio ritorno – la Danza reintegra il patrimonio della Pinacoteca mentre la mostra segue di trent’anni l’ultima a lui dedicata in Italia – e a prendere la scena è nuovamente un artista contemporaneo della committenza Borghese.

La mostra ricostruisce il primo soggiorno romano di Reni, agli inizi del Seicento. “Non possiamo definirlo un percorso di formazione giovanile perché il grande artista arriva a 26 anni, per curiosità e alla ricerca di nuove occasioni, ma sull’onda di una carriera brillante in patria,” spiega Francesca Cappelletti, che dal novembre 2020 è alla guida della Galleria e ha curato la mostra. “Era un pittore che già sapeva troppo, come pare avesse a dire di lui Annibale Carracci, e che a Roma resta un isolato di grande successo. Cosa gli ha dato questa città e cosa vi ha lasciato è la storia che vogliamo raccontare e di cui la mostra è solo il punto di partenza.”


Non più una mostra d’arte contemporanea ospitata in una sede storica, quindi, ma quella di un artista ospitato in uno spazio a lui contemporaneo. Non più suggestioni scaturite dall’accostamento di opere differenti – giocato sul contrasto – o dalla sottolineatura di inattese corrispondenze estetiche e formali, come in quella straordinaria operazione di mimetismo messa in campo da Archaeology Now, dove a confrontarsi erano due esperienze di collezionismo illuminato, una storica e l’altra d’invenzione, talmente compenetrate da lasciare il dubbio se alcune delle opere in mostra appartenessero all’una o all’altra raccolta.
Con la mostra su Guido Reni tornano a essere contemporanei contenitore e contenuto così come pure contemporanei sono, dall’altro lato dello specchio, l’allestimento e il visitatore: questo impone la ricerca di nuovi equilibri.


Discostandosi da altre esperienze recenti quello di Guido Reni a Roma. Il Sacro e la Natura è un progetto espositivo che non invade tutti gli spazi della Galleria Borghese, ma preferisce concentrarsi solo su alcuni: il Salone di Mariano Rossi e le sale di Paolina, del David, di Apollo e Dafne, degli Imperatori e del Sileno al piano terra; la Loggia di Lanfranco, con la seconda parte della mostra, al piano superiore.

Il percorso di visita non è libero, ma sequenziale: ha un principio, uno svolgimento, una fine che si rispecchiano nei pannelli informativi, nella scelta delle opere e nella loro scala, nel passaggio da temi più universali come quelli religiosi a quelli più particolari come la pittura campestre e del paesaggio, a lungo considerata estranea alla produzione dell’artista.
Come altre volte, quella in corso è una mostra pensata per essere visitata accedendo alla Galleria dal portico. Come altre volte, la gestione del flusso dei visitatori impone però che il loro ingresso avvenga dall’interrato e che la visita parta dalla Pinacoteca; il risultato è che, come altre volte, ci si trova a compiere il percorso di visita al contrario, partendo dalla fine.
I giornalisti che vi hanno raccontato la mostra l’hanno visitata in anteprima accedendo alla Galleria proprio dal portico; quelli che non hanno avuto occasione di tornare da semplici visitatori non avranno avuto modo di rendersi conto che la loro esperienza e quella del pubblico non coincidono.

Un dettaglio dell’illuminazione nei nuovi spazi di accoglienza della Galleria Borghese


L’ingresso alla Galleria Borghese avviene dal piano interrato ormai da qualche tempo; in quegli ambienti, appena rinnovati, sono concentrate le funzioni di accoglienza, biglietteria, guardaroba, i servizi per il pubblico, il bookshop e la caffetteria del museo. Se questo assetto non può essere modificato, è però compito dell’istituzione museale eliminare o almeno mitigare i suoi elementi di incompatibilità con il percorso di visita.
Appare incomprensibile, se non irrispettoso, continuare a immaginare itinerari fruibili nella sequenza corretta solo da chi ha la fortuna di accedere al museo dal portico in occasioni particolari, ignorando il fatto che il pubblico comune sarà costretto a visitare una mostra – ma anche il museo in generale – partendo dalla fine anziché dal principio.

Il Martirio di Santa Caterina d’Alessandria in mostra nel Salone di Mariano Rossi


Un visitatore particolarmente ben informato può modificare il proprio comportamento per cercare di iniziare il percorso della mostra dal portico: se invitato in modo un po’ perentorio a visitare prima il piano superiore, può dedicare la prima parte delle due ore a disposizione al resto della Pinacoteca, che non è interessata dall’allestimento temporaneo. Appena possibile, indossata tutta la propria disinvoltura, si potrà mischiare al flusso un po’ caotico dei visitatori – il turno di visita alla Galleria dura sempre due ore, ma gli ingressi ora sono cadenzati ogni ora, quindi non ci sono più momenti in cui le sale sono quasi vuote – potrà dirigersi al portico e immaginare di essere entrato da lì. Così la mostra potrà essere visitata nella stessa sequenza con cui è stata concepita, ma non c’è davvero un altro modo?


Nel Salone di Mariano Rossi ogni cosa, dalla scelta delle opere alle descrizioni, indica chiaramente che è da qui che parte il percorso. Il compito di introdurre il visitatore all’arte di Guido Reni è affidato all’installazione di maggior impatto della mostra, quattro monumentali pale d’altare dipinte nei primi anni del Seicento: la Crocifissione di San Pietro, la Trinità con la Madonna di Loreto e il committente cardinale Antonio Maria Gallo, il Martirio di Santa Caterina d’Alessandria e il Martirio di Santa Cecilia. Ma il Salone si trova sul lato opposto rispetto alla scala elicoidale utilizzata per l’accesso del pubblico: il rischio che un visitatore casuale veda per ultima proprio la sala pensata per essere la prima è più che concreto.

L’allestimento della mostra nel Salone di Mariano Rossi


Una delle caratteristiche del Salone è l’inserimento a pavimento di cinque pannelli di mosaico datati al IV secolo d.C. con scene di caccia e di lotta tra gladiatori e fiere provenienti da un insediamento romano di proprietà Borghese e trasportati all’interno del museo nel 1839, su indicazione di Luigi Canina.
In occasione di mostre temporanee nell’ambiente è stata spesso realizzata una pedana che sovrapponendosi ai mosaici aumentava la superficie calpestabile rendendo la sala completamente fruibile. È qui che il progetto di allestimento di Quell&Partners introduce quella che è forse la novità più interessante: una soluzione che concilia l’esigenza di esporre opere di grandi dimensioni con quella di mantenere visibili le pavimentazioni originali attraverso una struttura a doppia cornice: la prima riquadra il mosaico al centro della sala e funge da base di supporto per le pale d’altare, visibili seguendo un percorso anulare; alla seconda cornice è invece affidato il compito di proteggere i mosaici della fascia perimetrale assumendo la forma intrigante di una serie di elementi di seduta, che invitano il visitatore a fermarsi e prendere il proprio tempo per osservare le opere.

L’allestimento della mostra nel Salone di Mariano Rossi


Lo schema aperto dell’allestimento introduce prospettive inedite che vanno a traguardare molti elementi dell’apparato decorativo del Salone; consente di esporre lo Stendardo della Confraternita delle Sante Stimmate mantenendone visibili entrambe le facce; permette di utilizzare il retro dei pannelli a cui sono ancorate le pale per riprodurre citazioni evocative. Il metallo scuro, che richiama il colore degli elementi basamentali delle pareti decorate, e i pannelli espositivi azzurri – un punto di colore caratteristico della tavolozza di Guido Reni che ritroveremo nel cielo della Danza campestre – sono gli elementi caratteristici riproposti nell’intero allestimento.


Il tempo ci racconterà se questa soluzione avrà successo; nel primo giorno di apertura i custodi di sala segnalavano qualche criticità e qualche visitatore indisciplinato che non riusciva a interpretare un cordino rosso teso come un invito a non attraversare, ma ci sono margini per aggiustamenti in corsa. Qualche perplessità nasce dalla distanza forse troppo ravvicinata dalla quale ci si trova a osservare le opere, specie in relazione alla loro rilevante dimensione, ma questo non rende meno apprezzabile il tentativo di introdurre una macchina espositiva di una certa complessità senza rinunciare alla visibilità dei mosaici. Difficile perdonare invece il non aver tenuto in considerazione l’effetto della luce naturale sulla Crocifissione di San Pietro. La pala è la prima opera in mostra, una delle più importanti anche per il riferimento diretto alla pittura di Caravaggio; è posizionata esattamente al centro, davanti al portale di ingresso dal portico; ma il riflesso della luce proveniente dall’esterno sulla tavola è così intenso da costringere l’osservatore a spostarsi lateralmente, perdendo così la possibilità di apprezzare molti dettagli, al punto che può essere consigliabile visitare la mostra dopo il tramonto.


Il percorso al piano terra prosegue con cinque opere in altrettante sale. San Paolo rimprovera San Pietro penitente e i due tengono compagnia a Paolina, David con la testa di Golia stabilisce una connessione diretta con l’omologo berniniano – e anche qui il riflesso causato dalla luce della finestra di fronte è un problema. Il dramma della Strage degli innocenti si svolge alle spalle di Apollo e Dafne, Atalanta e Ippomene sembrano inseguire Plutone e Proserpina, Lot e le sue figlie sono circondati dai capolavori caravaggeschi della sala del Sileno.
L’allestimento non cerca di porre a confronto le opere in mostra con quelle della Galleria; quando è possibile si limita ad accostarle, evitando le facili tentazioni della simmetria e della prospettiva; in alcuni casi le relazioni nasceranno spontanee – per similitudine, come nel caso del David, attraverso riferimenti colti, come per la Strage degli Innocenti, o per assonanza, come nel caso di Atalanta e Ippomene, i cui corpi appaiono quasi tridimensionali accanto alla potenza della scultura di Bernini. In tutte le situazioni l’altezza alla quale sono posizionate, particolarmente bassa e inconsueta per la tradizione museografica e che ricorda la collocazione delle tele durante i restauri, costituisce un’esperienza fortemente coinvolgente: ci troviamo quasi dentro le opere.

Saliti al primo piano, la mostra prosegue nella Loggia di Lanfranco dove la Danza campestre è accompagnata da opere di artisti, spesso amici e sodali, che condividono con Reni il suo primo soggiorno romano: Francesco Albani, Annibale Carracci, Domenichino e Paul Bril. Al cambio di tema corrisponde un cambio nella dimensione, che arriva quasi a quella delle miniature, e nella tecnica, fino alla pittura a olio su rame. In questa sezione troviamo riferimenti colti e spunti di riflessione che rendono la mostra importante non solo per il grande pubblico ma anche per appassionati e studiosi, grazie alla generosità di alcuni prestiti.

L’allestimento della mostra nella Loggia di Lanfranco


La scelta di concentrare tutta la seconda sezione della mostra nella sola Loggia ha il pregio della chiarezza, ma l’allestimento non è altrettanto riuscito. Un lungo pannello a doppia C è posizionato al centro della sala, ma suddividendo lo spazio in due finisce per accentuarne il già marcato sviluppo longitudinale. Quattro tondi di Francesco Albani sono esposti sulle pareti, resi riconoscibili da un sottofondo nell’ormai familiare azzurro cielo, ma finiscono per contraddire la scelta, fino ad ora coerentemente perseguita, di utilizzare per tutte le opere dei supporti free standing che non interagiscono le mura della Galleria.

L’allestimento della mostra nella Loggia di Lanfranco


Per contro i dettagli esecutivi sono raffinati e mai banali: la lunga superficie del pannello centrale è scandita con un ritmo non predefinito che si adatta alle dimensioni diverse delle opere esposte, come un’emanazione delle rispettive cornici; lo stesso ritmo irregolare, quasi una partitura, è replicato nei supporti verticali che ancorano i pannelli alle basi in metallo scuro.
Ma l’impianto complessivo è un po’ timido e avrebbe avuto senso introdurre un elemento, anche minimo, che sottolineasse l’unicità della Danza campestre, non tanto per connotarla come una protagonista diversa dalle altre opere quanto per riconoscerne il ruolo di occasione che ha dato vita all’intero progetto.

La Danza Campestre di Guido Reni nella Loggia di Lanfranco

  • Guido Reni a Roma. Il Sacro e la Natura.
    A cura di Francesca Cappelletti.

Dall’1.3 al 22.05.2022 alla Galleria Borghese
Piazzale Scipione Borghese 5, 00197 Roma
Dal martedì alla domenica dalle 9 alle 19. Ultimo ingresso alle 17.45.
Prenotazione obbligatoria.

Progetto di allestimento, illuminazione e grafica in mostra:
Quell&Partners, Enrico Quell con Natalia Gutiérrez, Alessandra Salomone

Foto: Paolo Olivi @PaoloFM. Per gentile concessione della Galleria Borghese.